Palazzo Testasecca

I recenti lavori di ripavimentazione del corso Vittorio Emanuele hanno portato l’attenzione sul nostro centro storico, spesso bistrattato dai cittadini perché ritenuto privo di interesse storico ed architettonico ma, al contrario, ricco di palazzi antichi la cui bellezza esteriore è indiscutibile.

Lo storico nisseno Mulè Bertolo, descrivendo il corso ai primi del XX secolo, evidenzia l’interesse di tre palazzi che (…) formano una specie di triangolo di cui il vertice è l’Orfanotrofio Moncada e la base sono i palazzi Testasecca e Benintende. L’Orfanotrofio Moncada o Reclusorio delle Orfane è l’immobile posto alla testa dell’isolato che divide la strada principale dalla via Palermo, oggi sede del Consorzio Universitario, antico edificio risalente al XVII secolo, purtroppo alterato con l’aggiunta di due elevazioni. L’elegante palazzo Benintende, interessante opera architettonica realizzata nel XIX secolo dall’architetto Di Bartolo, pur se con alcune alterazioni dovute alla trasformazione dei locali a piano terra per uso commerciale, mantiene la sua imponenza, analogamente al dirimpettaio palazzo Testasecca. È di quest’ultimo che in questo breve articolo tratterò perché ritengo che la storia del palazzo, unitamente a quella della famiglia committente, protagonista della vita politica, economica e sociale della città tra la seconda metà dell’ottocento e la prima del secolo successivo, meriti maggiore attenzione dai nisseni perché strettamente legata alle vicende di Caltanissetta nel periodo che la vide “capitate mondiale dello zolfo”.

La sontuosa costruzione, sita al limite settentrionale del quartiere Zingari, quasi alla confluenza della via Reclusorio (attuale via Palermo) e di via dei Fondaci (parte meridionale di Corso Vittorio Emanuele II), con la sua presenza determinò la variazione di denominazione del cosiddetto “stradone della Grazia”, nel tratto che collegava l’Orfanotrofio Moncada con l’estremità meridionale della villa, il quale, nel 1901, fu intitolato al Conte Ignazio Testasecca. Quest’ultimo, ricco imprenditore minerario, fu insignito nel
1893, dal re Umberto I del titolo nobiliare, pare, per la generosa donazione pecuniaria, a sostegno del Regno, quale contributo per la copertura dei debiti contratti in seguito al fallimento della Banca Romana, nonché per la costruzione del Ricovero di Mendicità a Caltanissetta.

Il palazzo, abitazione principale di Ignazio Testasecca, nato a Caltanissetta il 9 marzo 1849 dal medico-fisico Gaetano e da Maria Curcuruto, esteriormente presenta una facciata eclettica, variamente articolata, realizzata alla fine del XIX secolo dall’Ing. Luigi Greco, quasi certamente sovrapposta ad immobili preesistenti. La costruzione è caratterizzata, sul fronte principale, dal grande portale centrale, sormontato da un balcone monumentale con balaustra in pietra. Lesene giganti, concluse da capitelli di ordine corinzio, partendo dal piano nobile, terminano a quota della copertura dell’ultimo livello con una cornice modanata, sopra la quale si eleva il cornicione sorretto da mensole. Gli elementi decorativi in rilievo, tutti in pietra bianca, risaltano sui fondi che riprendono il colore della pietra tufacea del basamento. Le aperture del piano nobile sono sormontate da arco scemo, tranne quella della monumentale tribuna; quelle del secondo livello sono ad arco a tutto sesto. A piano terra, sulle vie Palestro e Alaimo, alcune finestre conservano ancora la grata in ferro battuto decorata con la corona nobiliare del conte Testasecca. L’atrio del palazzo. corrispondente al vano retrostante l’imponente ingresso monumentale, ospitava in origine un grande scalone che collegava i vari livelli, demolito, quasi interamente, tra gli anni ’60 e ’70 dello scorso secolo. A quel tempo, frazionata ed alienata la proprietà, l’atrio d’ingresso e le scuderie collaterali, furono destinate ad attività commerciali e, per ottenere maggiore spazio destinato alla vendita, fu commesso uno scempio atroce: la demolizione dello scalone. Fu questa la ragione per la quale, da allora, l’accesso ai vari appartamenti risultanti dal frazionamento del sontuoso immobile, awiene attraverso la scala del contiguo palazzo Curcuruto-Lanzirotti.

Dello splendido scalone, con balaustra marmorea, rimane soltanto il tratto che collega il piano nobile con la superiore elevazione, isolato dai livelli sottostanti da un solaio calpestabile che copre interamente la superficie del grande vano. Internamente, gli eleganti ambienti del piano nobile e del terzo livello, mantengono ancora le antiche volte, prevalentemente affrescate e decorate con stucchi. Il palazzo, con decreto dell’Assessorato Regionale ai Beni Culturali, nel 1999 è stato dichiarato di importante interesse storico-architettonico.

Descritto il palazzo nel suo aspetto attuale, andiamo indietro nel tempo ripercorrendo, in parte, la storia della famiglia Testasecca-Curcuruto. L’avvocato Ignazio Curcuruto, facoltoso notabile nisseno, figlio del notaio Nicolò, nella prima metà dell’Ottocento possedeva due immobili, di uguale consistenza, a due elevazioni, siti nell’area attualmente occupata dal palazzo Testasecca e dalla costruzione adiacente, con il fronte principale rivolto verso il corso Vittorio Emanuele; egli, presumibilmente, abitava in una delle due costruzioni poiché gli atti notarili del tempo lo indicano residente nella “strada Palermo”, antica denominazione della prosecuzione della via dei Fondaci in direzione della Grazia. Ignazio, nato nel 1777, sposato con Maria Grazia Labso, figlia del notaio Benedetto, morì a Caltanissetta nel 1856; dal matrimonio nacquero sei figli: Benedetto, Vincenzo, Nicolò, Anna Maria, Maria Paola e Teresa.

Dagli atti notarili risulta che alla sua morte, avvenuta nel 1856, le due case sopra citate, che possiamo immaginare come due distinte unità immobiliari facenti parte di un medesimo corpo di fabbrica, furono ereditate da due figli, Nicolò, avvocato, celibe, deputato nel 1848 al parlamento siciliano, e Maria Paola, sposata con il cav. Giovanni Lanzirotti; ad Anna Maria andarono, invece, alcune case nell’immobile, prospiciente la via dei Fondachi, posto di fronte l’abitazione del padre. Tali proprietà si evincono dal “sommarione” del 1878, il volume che contiene l’elenco dei proprietari di tutte le unità immobiliari della città, allegato alle antiche mappe catastali urbane, consultabile presso l’Archivio di Stato di Caltanissetta.

Dallo stesso si apprende che la particella 5566, cioè quella corrispondente all’attuale palazzo Testasecca, sita in Via dei Fondaci al numero 20, è una casa civile con rimessa e scuderia; si dice inoltre che la posizione del fabbricato è ottima e la consistenza è di tre vani al piano terra, otto al primo piano, nove al secondo e con il terzo in costruzione.

Da una annotazione nel detto “sommarione”, successiva al 1878, si apprende inoltre di un frazionamento della predetta particella 5566 con il subentro nella proprietà di Nicolò Curcuruto, per una quota pari alla metà del’intero, di Ignazio Testasecca, fu Gaetano, la madre Anna Maria, come già detto, era una delle figlie di Ignazio Curcuruto. È facile desumere che in una fase seguente, non riportata dai registri predetti, Ignazio Testasecca abbia acquisito la restante parte dello zio Nicolò, celibe, diventando unico proprietario dell’immobile corrispondente alla particella 5566, con l’annessione anche di una piccola casa con bottega sita in via Giannotta, cioè alle spalle del corso Vittorio Emanuele, di proprietà Nigrelli.

Fu probabilmente quella l’epoca in cui, completata la costruzione del terzo piano, incaricò l’ing. Greco, di realizzare la monumentale facciata che uniformò esteriormente il palazzo, costituito per le prime due elevazioni da una delle due case di proprietà del nonno Ignazio Curcuruto e dalla terza realizzata nel 1878. Tale intervento caratterizzò fortemente l’immobile che divenne uno dei più eleganti del tempo, determinando una netta distinzione architettonica con il ben più modesto adiacente immobile degli zii Lanzirotti-Curcuruto dall’ingresso del quale, ai nostri giorni, si accede al palazzo Testasecca.

Ignazio, rimasto orfano di padre in giovane età, fu avviato dagli zii materni, Vincenzo e Nicolò Curcuruto, ambedue avvocati, agli studi legali. Laureatosi, non esercitò mai la professione forense perché ben presto si dedicò all’amministrazione dei beni di famiglia, prevalentemente materni, con-cretizzati nell’acquisto della zolfara Juncio, che costituì il punto di partenza per la creazione di un notevole patrimonio economico e finanziario. La famiglia Testasecca era originaria di Canicattì e quale sua sposa Ignazio scelse una giovane anch’essa proveniente dalla provincia agrigentina, Maria Longo, donna dalle grandi doti umanitarie, la quale lo indusse ad affiancare all’attività imprenditoriale anche opere filantropiche che gli attirarono le simpatie della popolazione nissena.

Ben presto iniziò l’attività politica che lo condusse a ricoprire, tra l’altro, la carica di sindaco della cittadina nissena dal luglio del 1885 al marzo del 1886 nonché presidente della Provincia, Consigliere della Camera di Commercio ed infine Deputato al Parlamento nazionale per ben sette legislature, dal 1885 al 1911. L’attività parlamentare del Testasecca era mirata prevalentemente ad azioni a favore della sua regione e nel 1910 presentò anche una proposta, approvata nella seduta del 9 febbraio 1911, per l’istituzione di una “tombola telegrafica” a favore dell’Ospedale Vittorio Emanuele II di Caltanissetta.

Dal matrimonio di Ignazio Testasecca e Maria Longo nacquero due figli, Dorotea andata in sposa al marchese Camillo Malvezzi Campeggi e Ignazio, al quale fu trasmesso il titolo di Conte, coniugato con la nobile francese Clara Combes de Lestrade. Vincenzo, naturalmente deputato a seguire le orme del padre nell’attività imprenditoriale di famiglia, fu avviato agli studi a Roma dove viveva con la madre.

Il suo matrimonio con la bella francese però non fu felice come quello dei genitori e innanzi ad un tribunale cecoslovacco ne fu decretato l’annullamento. Alla sentenza di nullità del matrimonio, seguì in Italia una controversa azione giudiziaria poiché, con sentenza della Corte d’Appello di Roma del 19 luglio 1938, non fu concesso il riconoscimento giuridico ad un atto emesso da un paese straniero nel quale nessuno dei due coniugi risiedeva relativo, peraltro, ad un matrimonio contratto in Italia.

Ma i problemi di Vincenzo non furono solamente di carattere sentimentale, egli, infatti, subì le tragiche conseguenze derivanti dalle mutate condizioni politiche, sociali ed economiche dell’isola devastata, durante i suoi sessantanove anni di vita, da ben due conflitti mondiali. Chi ebbe modo di conoscerlo ricorda che in età avanzata, rientrato a Caltanissetta da Roma dove continuò ad abitare anche dopo la fine del matrimonio, non tornò a vivere nel sontuoso palazzo cittadino, preferendo la quiete della elegante villa di contrada Bagno nella quale morì nel 1949.

I suoi eredi, Maria, Gaetano e Ignazio, purtroppo, lontani fisicamente dalla città, non riuscirono a mantenere alcun legame con Caltanissetta ed alienarono definitivamente ciò che rimaneva del cospicuo patrimonio immobiliare di famiglia. Il sontuoso palazzo Testasecca, oggi alterato dalla presenza dei locali commerciali a piano terra e dalla mancanza del monumentale portone d’ingresso, la splendida villa di contrada Bagno ed il Ricovero di Mendicità, rimangono oggi le uniche testimonianza del potere economico e sociale di una grande famiglia, oggi non più presente nel nostro territorio.
Si ringrazia, per le preziose informazioni sulla famiglia Testasecca, il dott. Michele Curcuruto e l’arch. Tiziana Amato.

Fonte: Architetto Daniela Vullo

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